BRAIN DAMAGE è formato da quattro progetti; quattro capitoli, “Craving”, “Doppelgänger”, “Lost in the K-Hole”, “Rorschach”, incentrati su differenti e autonome tematiche psicologiche, connesse l’una all’altra dalla presenza costante di tre elementi fondamentali: la mancanza, il desiderio, la sofferenza. Ciò che l’autore durante i tanti anni di ricerca e lavoro non ha potuto registrare istantaneamente, come nel caso di “Craving” e “Rorschach”, lo ha prima immaginato e poi ritratto alla maniera di “Doppelgänger” e “Lost in the K-Hole”. Non solo reportage, dunque, compongono il libro, ma anche regie.
Per fotografare i deliri della mente, pur restando incredibilmente ancorati alla realtà, ci vuole, oltre a una profonda conoscenza dei temi affrontati, anche una potente e fervida immaginazione. Immaginazione che è, di fatto, visionarietà applicata a una logica dei sensi e dell’espressione. Queste doti artistiche Di Donato le possiede e le ha trasmesse evidentemente ai quattro progetti fotografici di Brain Damage dove le immagini delle pulsioni inconsce si sono trasformate in forme figurative inquietanti e perturbanti. Anche quando il corpo umano è nitido, integro e realistico(“Craving” e “Rorschach”), e non palesemente astratto, surreale e “defigurato” (“Doppelgänger” e “Lost in the K-Hole”), l’autore allude alla sua devastazione, distorsione ed evanescenza: il corpo e la sinestesia dei sensi sono immagini della mente e dei suoi tormenti, di alcuni traumi della condizione umana e dello stare al mondo.
Nel panorama della fotografia e della cultura visuale contemporanea, Di Donato elabora immagini sinottiche e insieme narrative, storie visive riflessive che parlano in vario modo alla coscienza immaginale collettiva e individuale.
Il carattere fortemente psicologico delle fotografie rende Brain Damage un’opera complessa, come complessa è la psiche umana così smarrita nei disagi dell’ipermodernità.
Un repertorio fotografico che suscita tristezza, tensione, inquietudine e commiserazione, che coglie aspetti oscuri, opprimenti e ineffabili dell’esistenza con un pieno coinvolgimento emozionale dotato di una prodigiosa capacità di penetrazione e interpretazione psicologica. Una fotografia che va oltre il realismo perché ci sveglia dal torpore della realtà ordinaria posando lo sguardo sull’anima dove si celano tragici e oscuri disturbi illuminati e suggellati da uno scatto. Una fotografia, infine, che passa all’obiettivo i vuoti della presenza e, incarnando le apocalissi della mente, prelude a distopie psico-antropologiche quali immagini venture di una crisi della società e della cultura già in atto. (Dal testo critico di FABIOLA DI MAGGIO)